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domenica 28 ottobre 2012

...di armonia risuona...e di follia.


Di grande bellezza l'ultimo libro di Eugenio Borgna, "Di armonia risuona e di follia". L'autore, illustre psichiatra fenomenologo di grande umanità, con uno stile che sa risuonare nell'animo del lettore, ci conduce con tenera passione a rivisitare passi celebri e le vite, segnate dal dolore, di "grandi" che hanno lasciato segni indelebili nella storia dell'umanità. Bellissime le pagine dedicate a Virginia Wolff, a Nietzsche, a Celan, così come di struggente bellezza sono le riflessioni sulle infinite declinazioni della "malinconia", come stato d'animo insito nella natura umana. La scrittura di Borgna, poetica eppur così densa di umana tragicità, lascia un segno di sé in ogni lettore che si lasci penetrare dalle sue parole, sempre evocatrici di intense emozioni. Un libro da leggere per sentirsi ancora più partecipi, con piena consapevolezza, del destino di ogni uomo, di tutte le manifestazioni dell'animo, anche le più inquietanti e insondabili.

giovedì 25 ottobre 2012

"Sfumature"..e immaginario femminile.



Un successo strepitoso da milioni di copie. L'autrice della trilogia delle "sfumature" è attualmente ai primi posti delle vendite in ogni angolo del mondo. Cosa ha decretato il grande successo di quest'opera letteraria? La critica  ha decretato senz'appello l'assoluta inconsistenza dell'opera, eppure...la trilogia continua ad essere comprata...e letta..seguendo l'onda di un passaparola inarrestabile. L'autrice probabilmente gongola soddisfatta e magari...medita di deliziare i lettori/lettrici...con altre sfumature...delle sfumature. In questa trilogia si parla di un rapporto sado/maso ripetitivo e a tratti di una banalità sconcertante. La tensione erotica è presente a tratti e alcuni passi sfiorano il ridicolo per la pochezza del linguaggio e la scontata evoluzione delle situazioni rappresentate. Sembra accertato che a sancire il successo di quest'opera sia un pubblico femminile. Le donne probabilmente leggono da sempre più degli uomini. Più inclini al raccoglimento e con maggiori "sfumature" di sensibilità le donne comprano...e leggono più libri, per cui in parte questa attitudine spiega perchè anche in questo caso il successo sia decretato dal pubblico femminile. Ma...perchè tante donne...tantissime lettrici hanno scelto di entrare in questa storia? E' possibile che riguardi un comune immaginario erotico femminile?

lunedì 22 ottobre 2012

Eros e morte



L'altro ieri una ragazza è stata uccisa nel tentativo di difendere sua sorella. Autore del delitto il fidanzato  respinto. Ancora una volta -quanti episodi simili negli ultimi tempi- un uomo rifiutato, incapace di tollerare la "sconfitta d'amore", decide il gesto estremo. Di fronte ad accadimenti di tale portata si sprecano le ipotesi, le condanne, i tentativi di capire. Il paradosso insito nell'eliminare l'oggetto d'amore perduto, nell'incapacità di tollerare la perdita, suscita sconcerto e non trova spiegazioni nella logica corrente. Cosa porta un uomo- quasi sempre l'autore del gesto è di sesso maschile- a un'azione così estrema, è difficile da comprendere e accettare dal senso comune. Volontà di possesso estremo? "Oggettualizzazione" dell'altro, deprivato  di ogni caratteristica umana? Incapacità di tollerare la ferita narcisistica derivata dal rifiuto? Qualunque sia l'ipotesi esplicativa, in questi tragici eventi Eros si coniuga con la Morte, in un abbraccio che sembra trovare spiegazioni solo nella "follia". Pulsioni erotiche e pulsioni aggressive, portatrici di morte, impastate e confuse tra loro, investono l'oggetto "follemente" amato, decidendone il tragico destino. 

mercoledì 17 ottobre 2012

L'iniziazione









Fin dalla partenza, alle prime luci dell’alba, una pioggia leggera e insistente era caduta senza sosta. Una pioggerellina subdola e tenace, così inconsistente da essere appena percepibile, ma sufficiente a renderci, dopo alcune ore, delle maschere di acqua e fango, man mano che ci addentravamo nella boscaglia. I sentieri che si aprivano tra alberi secolari e cespugli di rovi, con il passare delle ore, erano stati cancellati dall’acqua che li riempiva, rendendo il nostro cammino sempre più faticoso. Qualche passo davanti a me, avanzavano sicuri mio zio Giuliano e il suo fraterno amico Aristide. I miei due compagni camminavano silenziosi, uno a fianco all’altro. Io li seguivo stanco e avvilito, fradicio e appesantito dal loro silenzio che immaginavo dovuto alla delusione, oppure, pensavo, all’indignazione per il mio inaccettabile comportamento.Di tanto in tanto i due scambiavano qualche parola, sommessa, in parte sciolta nell’aria umida; parole che componevano frasi che immaginavo di scherno e commiserazione per la mia pochezza. Oramai si avvicinava l’ora del rientro. L’evento, che avrebbe dovuto sancire, per i due uomini, il mio passaggio oltre la linea rosea dell’adolescenza, non si era ancora realizzato. Sarei tornato a casa da mia madre senza aver compiuto il grande passo, deluso, accompagnato dalle occhiate derisorie di mio zio e del suo amico, con l’unico desiderio di sentire sul mio capo il peso lieve di una carezza. 

Nelle lunghe sere d’inverno, quando, per assecondare il buio nel suo cammino verso la notte, ci si sedeva nella grande cucina vicino al fuoco rassicurante del caminetto, ascoltavo rapito i dialoghi sommessi degli adulti. Di tanto in tanto un dolce torpore s’impadroniva di me, portandomi in quella dimensione di confine nella quale il reale sfuma e si confonde con la fantasia, con l’immaginazione e il sogno. A volte, guidato dall’eco di un’ultima parola o dalla suggestione di una frase incompresa, varcavo i confini stessi della notte, lasciando gli adulti al di qua, immersi nella ritualità stanca dei loro dialoghi.

Una sera tra tante, avevo forse da poco compiuti i sei anni, divenni inaspettatamente protagonista del dialogo tra mia madre e mio zio Giuliano. Ero ormai quasi del tutto assopito, con la testa reclinata in grembo a mia madre, in quello stato di torpore beato che precedeva il passaggio nel sonno, quando mi giunse l’eco della voce di mio zio, il quale diceva, con l’enfasi che gli era abituale, che al compimento del mio diciottesimo anno mi avrebbe portato con sé, per farmi diventare un uomo.

Il cielo, fino a poco prima immobile e ingombro di nuvole verdastre, iniziava a muoversi dolcemente, sotto la spinta di un forte vento che soffiava da nord. La pioggia, che era stata l’implacabile e unica protagonista di quella mattinata di fine ottobre, dopo uno scroscio di maggiore intensità, un ultimo sussulto prima della quiete, lasciò il posto a una nebbiolina tiepida, rischiarata dai primi raggi inattesi del sole. Mio zio Giuliano e Aristide si erano levati i berretti per liberarli dall’acqua che li aveva impregnati in ogni fibra, invitando me a fare altrettanto, quando un fruscio che mi sembrò gioioso e liberatorio precedette il precipitarsi verso il pallido sole di tre leggere macchie nere, con grida che sembravano di bambini eccitati per la ripresa del gioco. Al colpo di tuono che partì da zio Giuliano, seguito da quello incosciente e colpevole della mia doppietta, seguì un planare scomposto e vorticoso, poi una quiete plumbea, mentre i miei due compagni, incitandomi a seguirli, si addentravano nella boscaglia.

Rimasi immobile, con i piedi tremanti affondati nella pozzanghera, incapace di muovere un solo passo, mentre la doppietta, che mi sembrava di un peso intollerabile, giaceva sull’erba incolta. Impossibile dire quanto tempo durò lo stato di confuso sgomento che mi attanagliava la gola, poi, lentamente, mi incamminai verso l’addensarsi del verde cupo del bosco. Il silenzio tutto intorno mi sembrava partecipe del mio stato di pena, mentre una cappa di dolore cupo mi annebbiava la vista. Camminai a lungo, oppure furono solo pochi passi, quando, aggirando una pozza profonda che mi sbarrava la strada, passando tra i rovi di un cespuglio, incontrai uno sguardo di angoscia e dolore. Nascosta tra i rovi, tremante, in una goffa postura dovuta all’ala spezzata e sanguinante, una beccaccia mi guardava con occhi che urlavano il terrore, implorando pietà; il becco aperto in urlo o pianto strozzato puntava verso di me, in una disperata richiesta di grazia. 

Dopo una corsa a perdifiato, mi accasciai sull’erba fradicia della radura, ai margini della boscaglia, sciogliendomi in un pianto a dirotto, sgomento, mentre portavo ancora negli occhi l’immagine di quello sguardo di terrore impotente e il rimbombo, dentro di me, di un urlo disperato, che sembrava appartenere a tutte le vittime innocenti del mondo. 

martedì 16 ottobre 2012

Siamo la nostra storia



Noi siamo la nostra storia.
Ricordi, tracce di memoria coperte da detriti di esperienze dimenticate, stati affettivi antichi e recenti sono mescolati tra loro. Nei sogni tutto si ripropone, in un tessere continuo dalla trama della nostra esistenza. Un uomo dorme, forse sogna. Con sé poche cose; dentro di sé l'inestimabile  ricchezza insita nella sua condizione umana.

domenica 14 ottobre 2012



Molti anni fa, una signora di un paese dei dintorni dedicava ogni mattina alla preparazione del pranzo. Faceva il sugo che sapeva piacere a suo marito, cucinava l'arrosto con contorni vari e mai mancava di fare anche un buon dolce.
Poco prima dell'ora di pranzo, la signora apparecchiava la tavola per due e si metteva pazientemente ad aspettare il rientro del marito.
Il marito non tornava mai.
Era morto molto anni prima, ma non per lei, che continuava ad aspettare il suo ritorno.

La situazione descritta è una dolorosa vicenda di lutto patologico. Nell'impossibilità di elaborare la "perdita", era stato messo in atto un "diniego", potentissimo meccanismo di difesa atto ad annullare una realtà inaccettabile.

Tra i racconti del libro di Giulio Mozzi "La felicità terrena",  "Il bambino morto" è uno struggente esempio di lutto patologico, narrato con un linguaggio efficace, capace di rappresentare al lettore il dramma di una perdita che non è possibile integrare.

sabato 13 ottobre 2012





(1RE 3,16-28)
Un giorno andarono dal re Salomone due prostitute e si presentarono innanzi a lui. 
Una delle due disse: "Ascoltami, signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito mentre essa sola era in casa. 
Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e non c'è nessun estraneo in casa fuori di noi due. 
Il figlio di questa donna è mort
o durante la notte, perché essa gli si era coricata sopra. 
Essa si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco - la tua schiava dormiva - e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il figlio morto. 
Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L'ho osservato bene; ecco, non era il figlio che avevo partorito io". 
L'altra donna disse: "Non è vero! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto". E quella, al contrario, diceva: "Non è vero! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo". Discutevano così alla presenza del re. Egli disse: "Costei dice: Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto e quella dice: Non è vero! Tuo figlio è quello morto e il mio è quello vivo". 
Allora il re ordinò: "Prendetemi una spada!". Portarono una spada alla presenza del re. 
Quindi il re aggiunse: "Tagliate in due il figlio vivo e datene una metà all'una e una metà all'altra". 
La madre del bimbo vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: "Signore, date a lei il bambino vivo; non uccidetelo affatto!". L'altra disse: "Non sia né mio né tuo; dividetelo in due!". 
Presa la parola, il re disse: "Date alla prima il bambino vivo; non uccidetelo. Quella è sua madre". 
Tutti gli Israeliti seppero della sentenza pronunziata dal re e concepirono rispetto per il re, perché avevano constatato che la saggezza di Dio era in lui per render giustizia.

L'episodio delle "due madri e il figlio conteso" ricordano la triste vicenda di cui tanto si parla in questi giorni.  
I commenti si sprecano, i giudizi e relative condanne si sovrappongono, l'indignazione ha una crescita esponenziale. Il bambino della dolorosa vicenda, suo malgrado, è al centro dell'interesse dei media. Una sovraesposizione mediatica i cui effetti non è possibile immaginare, nel medio e lungo periodo. Cosa sedimenterà nel tempo di questa incredibile vicenda è una domanda cui nessuno è in grado di rispondere. 
Forse, senza raggiungere i livelli proverbiali della "saggezza" del Re, il ricorso al "buon senso", da parte  di tutti, avrebbe potuto evitare questa triste vicenda.

venerdì 12 ottobre 2012

Il bambino conteso per "amore"

Come troppo spesso succede, due genitori arrivano a odiarsi, a tal punto che anche i propri figli diventano pretesto di guerra aperta. Da ieri è visibile  sul web un video "testimonianza" della vicenda drammatica del bambino conteso..."per amore". Non ho visto il video, non lo vedrò e non ho alcuna voglia di vederlo. Giudicare i protagonisti di questa triste vicenda sarebbe inutile, fin troppo facile e anche un po' bigotto. L'unica domanda che resta aperta, a cui è impossibile dare oggi una risposta, è: riuscirà quel bambino a elaborare il suo "trauma per amore"? 

giovedì 11 ottobre 2012

Buon giorno. 
Siete sul Blog dell'Associazione Psicoterapeuti La Recherche.
In questo spazio parleremo di Psicoanalisi, Psicoterapia e...altro.
Come ogni organismo vivente, questo Blog ha certa la data di Nascita, oggi, 11/10/2012, ma non è dato sapere quando terminerà il suo ciclo di vita. 
Ci auguriamo che, con il contributo di tanti, viva...più a lungo possibile.

Per iniziare, un doveroso tributo al Blog di Giulio Mozzi, molto ben curato dall'autore. Giulio Mozzi, scrittore, editor e instancabile blogger, con ironia e intelligenza, propone giornalmente spunti di riflessione mai banali, sempre capaci di suscitare un'emozione.