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giovedì 19 settembre 2013

...una nuova cultura.



Dopo l'ultimo post di dicembre 2012, un post che voleva essere un augurio e un omaggio a tutte le donne, oltre che un grido di orrore per la violenza cieca che le umilia, mutila della dignità, fino a privarle della vita, il Blog non ha fatto sentire la sua voce. I molti impegni, una leggera amarezza nel sentire spesso solo l'eco delle proprie parole, hanno indotto ad un lungo silenzio.
Oggi, il desiderio di riproporre un dialogo. Purtroppo l'ultimo post è quanto mai attuale; le donne continuano ad essere umiliate, calpestate, ferite e la loro voce è sempre più spesso sommersa dalle grida e dal rumore ottuso della violenza che le circonda. La violenza espressa da chi vorrebbe utilizzarle a oggetto narcisistico da asservire al proprio triste trionfo, da chi ne aspira il possesso in quanto bisognoso di fondersi con un oggetto con funzione materne originarie, da chi, negando la propria fragile inconsistenza, le utilizza come oggetto da denigrare e umiliare per sentirsi illusoriamente potente; oppure ancora da chi, soggiacente ad un irrisolto conflitto edipico, ne rivendica il possesso assoluto, incapace di tollerare la presenza di altri, reali o immaginari. L'elenco delle possibili motivazioni alla violenza espressa contro le donne, e in generale verso chi si percepisce debole e indifeso, violenza intrisa di sadismo che ha ulteriore alimento nelle spinte di una società in cui è forte la cultura della prevaricazione, potrebbe essere ulteriormente esteso; ma, pur nello sconcerto rabbioso e con un senso di impotenza, di fronte alla purtroppo molto ampia dimensione del fenomeno, va nutrita la speranza della nascita e diffusione di una nuova cultura, la cultura della tenerezza; una cultura che predisponga alla grazia, alla gentilezza, al rispetto e che induca ognuno di noi a riconoscere negli altri la propria fragile natura, rispettando la dignità umana come valore in sé, da amare e proteggere da ogni forma di insulto.

13 commenti:

  1. Buongiorno e buona Domenica a tutti!
    Leggendo l'ultimo post che tratta un argomento molto delicato,ho pensato di contribuire in qualche modo a quello che è il mio pensiero.
    Un argomento molto delicato e che necessiterebbe di ancora più informazione a mio avviso.Se ne parla tanto ma il tutto si riduce solo a questo.Io credo che le donne che subiscono violenze di ogni sorta,andrebbero aiutate perchè da sole non ce la farebbero mai..ammesso che si riesca a convincerle.Credo che la loro sia una specie di dipendenza inconscia, una sorta di "sudditanza psicologica" un circolo dal quale è dura uscire... un pò come la droga o le dipendenze varie.La "sindrome di Stoccolma"?? (credo si chiami così). Sembra facile per chi le vede dall'esterno. Ma per chi le vive diventa quasi un inferno nel quale, paradossalmente, ci si sente protette....però già la voglia di liberarsi è un primo passo. Superare la paura del futuro e riacquistare la fiducia in se stesse e negli altri è la cosa più difficile da affrontare. Purtroppo il meccanismo fatale che si innesca nella mente di queste donne è l'auto-colpevolizzazione!!!Ci vuole grande volontà e grande determinazione.Ma anche grandi persone accanto che le sostengono..chissà, magari se le donne si "svegliassero", potrebbero incutere timore e far estinguere questa "specie" animalesca.Anche i dinosauri nonostante la stazza si sono estinti.

    Anna Germano

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  2. Anna, grazie per il tuo bel commento. Sottolinei come spesso, purtroppo,ci sia una dinamica inconscia che crea legami patologici, come ben si comprende da quel che dici. Uno dei meccanismi è sicuramente quello da te descritto; ce ne sono altri, non meno drammatici, che spiegano almeno in parte il fenomeno, ma non è possibile trattarli adeguatamente in questa sede. Resta assolutamente valido e da condividere il tuo rivolgerti alle donne, affinché sappiano sottrarsi al gioco perverso che lega in qualche modo la vittima al persecutore, riconoscendo fin dalle prime avvisaglie la tendenza nel partner al possesso morboso, alla limitazione della libertà di pensiero e di azione altrui, all'uso, in nome di un "amore" intriso di patologia, della violenza in ogni sua forma.
    Grazie.

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  3. Buonasera a tutti,
    ho letto il post e i commenti di Anna e dell'Associazione. E' un argomento molto interessante e mi piacerebbe approfondire anche le altre dinamiche che portano gli uomini alla violenza sulle donne, se è possibile, anche se vengono trattate per somme linee.
    Vi ringrazio

    Sergio

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  4. Buon giorno Sergio, come si accennava nel commento precedente, approfondire il tema sarebbe piuttosto complesso e il poco spazio a disposizione non lo permette.
    Nel post iniziale sono menzionate, sinteticamente e in rapida successione, alcune delle dinamiche che in qualche modo possono dare ragione del fenomeno, ma certamente se ne potrebbe parlare a lungo e con sempre maggiore complessità. Mi fa piacere comunque che il post abbia suscitato interesse; vediamo se in una eventuale prosecuzione della discussione ci è possibile aggiungere ulteriori contenuti sul tema.
    Grazie per il contributo.

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  5. Ricordo lo sgomento provato diversi anni fa, di fronte alle scissioni e al diniego di una donna di mia superficiale conoscenza, che a cicli ripetitivi subiva forme di violenza psicologica da parte del proprio partner. Era come se tutto finisse in una sorta di "buco nero", risucchiato nel nulla: così come accadeva, in seguito scompariva, apparentemente senza lasciare traccia... .
    Solo in prossimità degli eventi drammatici, la signora riusciva a "riconoscere" la gravità del comportamento del compagno e, appena appena, a "sentire" la propria ferita. Ma presto, tornavano le "giustificazioni", la messa in dubbio circa proprie responsabilità, mancanze, errori..., fino a "banalizzare" il fatto e a ridestarsi in lei un sentimento di forte attaccamento e di apprezzamento delle varie virtù del suo uomo. Il resto non contava più, o meglio, non c'era più... .
    Non conosco, cosa ne sia stato di questa persona, mi auguro che abbia potuto approdare a qualche cambiamento nella valutazione del suo rapporto sentimentale e nella comprensione di se stessa.
    Ma è vero, che occorrono aiuti esterni per queste donne, e che da sole, il più delle volte non sono in grado di arrivare a proteggersi... .
    Ecco, penso proprio a quest'ultima parola: protezione.
    Forse, nessuno ha "insegnato" loro che cosè, facendogliela esperire come amorevole accudimento e trasmettendogliela come intrinseco valore assunto verso ogni essere vivente.
    Come vorrei, io stessa, per prima, avere uno sguardo di amorevole stupore e di tenerezza, nel destarmi di ogni giorno, preparandomi ad incontrare l'Altro.

    Antonella

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  6. Gentile Antonella, il suo commento, intenso e toccante, descrive bene una dinamica paradigmatica di relazione patologica. Lei descrive benissimo il diniego messo in atto da questa donna vittima di violenza, il ricorso ad ogni forma di razionalizzazione per negarsi la possibilità di "vedere la realtà" e l'affiorare di quel "senso di colpa", un senso di colpa a paradossale protezione del "persecutore", già menzionato da Anna in un post precedente. Concordo che in situazioni in cui la dinamica patologica è ormai circolare, senza apparente via di uscita, un aiuto esterno è assolutamente indispensabile.

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  7. Mi riferisco al commento di Antonella, molto interessante:
    tutto questo giustificare, questa sorta di debole ribellione soffocata
    solo in conseguenza al ritorno di un periodo di calma è un comportamento
    che non è altro che il risultato di una violenza psicologica, forse anche fisica,
    un continuo lavaggio del cervello architettato dall'aguzzino per dominare,
    per annientare la volontà, fa leva sulle debolezze caratteriali delle donne,
    ne sminuisce i valori, ne acuisce le paure ed è terribile da parte di chi subisce.
    Mi chiedo dov'è l'amore in questi comportamenti deviati?
    Come si è potuto scambiare la pazzia per amore? La violenza per dolcezza?
    Perchè si deve arrivare a tanto, addirittura in molti casi a rischiare la propria incolumità fisica se non la vita?
    Quanta solitudine e che tristezza :(

    Sergio

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  8. Buongiorno Sergio.
    Una grandissima solitudine e la tristezza erano proprio i sentimenti profondi che questa signora mi suscitava nell'essere a contatto con lei.
    E anche una sensazione di impotenza, di immobilità; ricordo che pensavo: "ma non si può fare niente...?".
    A posteriori prendo in considerazione che la mia reazione corrispondesse, a qualche livello, ad un vissuto presente nella signora, ma di cui forse non era nemmeno consapevole (...), e le cui radici chissà dove affondavano... .
    Lei Sergio parla di annientamento della volontà, e mi sono domandata quante volte, forse, è stato così per queste donne, ... ovvero se esse sono state esposte ad un'esperienza originaria e reiterata di annientamento della loro identità, il cui sentire, capire, valutare, desiderare, poichè calpestati, non possono che essere
    rimasti, allora, confusi, incerti, indefiniti... . Al punto, che anche la violenza può essere scambiata per "amore".

    Antonella

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  9. Grazie a Sergio e Antonella per i loro bei contributi. MI auguro che altri si uniscano a portare testimonianze e riflessioni, per un allargamento della coscienza comune.

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  10. Le dinamiche di cui parliamo sembrano essere due lati di una stessa medaglia... dove c'è un uomo abusante, vi è una donna che inconsciamente sembra consentirne la reiterazione. Il cambiamento culturale è davvero necessario, non solo nel favorire una maggiore consapevolezza nella donna e la capacità di riconoscere una dinamica distruttiva e masochistica, ma soprattutto rivolgendosi all'uomo sia nel suo ruolo di compagno, che ancor prima in quello di padre. Mi domando come si possano aiutare questi uomini ad amare e rispettare le donne: vanno educati? curati? resi inoffensivi? Quali politiche, quali risorse vanno mobilitate? Finora mi sembra che ci si sia orientati nel difendere e proteggere la donna, indubbiamente il versante più urgente della questione; mi chiedo ora, in accordo con Sergio, se non sia necessario risalire alle origini, facendo più luce sull'altro lato della medaglia, quello maschile...
    Barbara

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  11. Cara Barbara, le donne, anche se indubbiamente vittime della prevaricazione e della violenza in ogni sua forma, spesso contribuiscono inconsciamente a mantenere viva la dinamica che le vede soccombere, per motivi che in alcuni commenti precedenti sono stati evidenziati, senza peraltro esaurire la complessità del tema. Gli uomini invece, per motivi che possono essere i più vari, alcuni focalizzati nel post introduttivo al tema, nei ruoli e funzioni che sono chiamati ad occupare nella vita sarebbe auspicabile transitassero l'area della dolcezza, della tenerezza, ad iniziare, come giustamente sottolinei, dal ruolo di padri, in modo da trasmettere, ai figli maschi, un modello ideale di uomo adulto che rifugge dalla cultura della prevaricazione e della violenza, alle figlie femmine, una esperienza di rapporto orginario con l'altro sesso fondato sulla tenerezza, in modo da predisporre la donna di domani a cercare nella relazione d'amore le stesse caratteristiche e a rifuggire, alle prime avvisaglie, dall'insulto della violenza in ogni sua forma. Naturalmente una cultura nuova ha bisogno di tempo, molto tempo, per radicarsi, resta quindi il problema di come vivere questa contemporaneità. Credo che il movimento di opinione che sta crescendo negli ultimi tempi sia un primo momento importante; per quanto poco, la voce di chi ne parla arriva alle vittime, ai persecutori, ai complici silenziosi, instillando in ognuno di loro il seme di un pensiero nuovo e di una nuova sensibilità, con la speranza che questo primo tenue bagliore di coscienza collettiva ponga le basi per il cambiamento di tutti.

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  12. Ma quale soluzione, quali strategie adottare per liberarsi da questi "uomini" così possessivi e violenti...
    Io stesso sono stato testimone inerme di situazioni limite, come ci si può comportare per andare in aiuto di queste donne oppresse?
    Cosa può fare un amico o un parente senza rischiare con la sua presenza di peggiorare una situazione già critica? Abbiamo visto che
    spesso il ricorso agli organi di polizia non risolve la situazione e anzi, spesso si è mostrata una soluzione controproducente.
    Le istituzioni sono indietro anni luce per quanto riguarda la prevenzione e l'assistenza a entrambi le parti in causa, carnefice e vittima.
    Credo si debba intervenire su ambo i fronti non dico per risolvere ma almeno attenuare i danni. Io penso che anche chi ha questi comportamenti
    aberranti va aiutato e non abbandonato a se stesso col rischio poi di perpetuare ancora crimini e violenze.
    E la minaccia del carcere non credo sia la soluzione migliore. Il carcere poi arriva solo nei casi estremi, quando ormai è troppo tardi.

    Sergio

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    1. Sergio, non credo esistono soluzioni perfette e risolutive, ma certamente qualcosa è indispensabile fare. Anche parlarne, come stiamo facendo nel nostro piccolo spazio comune, può dare un piccolo contributo per un allargamento della coscienza comune e una sensibilizzazione di donne e uomini spesso invischiati in relazioni che hanno già in embrione tutte le caratteristiche di una futura relazione francamente patologica. E' di oggi la decisione politica di inasprire i controlli e le sanzioni nei confronti di uomini che si fanno minacciosi o violenti oltre ad un maggiore sostegno e vicinanza per le vittime di questa tragedia della relazione. Certamente si tratta di decisioni che hanno la loro importanza e che, almeno in determinati casi, possono fungere da deterrente per il persecutore e da protezione per la vittima. Non credo sia comunque sufficiente per eradicare un fenomeno che ha radici profonde in una cultura della sopraffazione che spesso determina le coordinate del rapporto uomo/donna. Credo sia necessario quindi affiancare agli interventi dissuasivi e protettivi del momento un'adoperarsi da parte di tutti per la diffusione di una cultura nuova fondata sul rispetto di ogni persona, sulla protezione e non sulla prevaricazione del debole, sulla parità di diritti, sul libero pensiero. Per finire, come tu stesso sottolinei, considerare la componenti patologiche di una certa cultura condivisa e di certe condotte, in modo che si possa offrire, almeno per coloro che sono in grado di riconoscersi bisognosi, percorsi di cura e di rieducazione affettiva.
      Grazie.

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