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martedì 1 ottobre 2013

Verso il silenzio








Che strazio incontrare lo sguardo smarrito e implorante di chi soffre un dolore fisico incoercibile! In quello sguardo, in quegli occhi colmi di umana impotenza e disperazione, si legge lo sgomento atroce di chi, sopraffatto da un immane dolore, suo malgrado, desidera la morte. Disumana la sofferenza che trasfigura, inaccettabile e atroce il dolore che uccide l’umana dignità, insensato e crudele preservare la vita quando il dolore ha già ucciso ogni desiderio e volontà di esistenza. Quel che resta di un essere umano annientato dal dolore andrebbe accarezzato con dolcezza, e accompagnato con un sorriso verso il silenzio che annulla ogni pena. 

15 commenti:

  1. Quanti temi esistenziali tocca questo post... . Leggendolo come successione di pensieri, ne ho tratto, in una elaborazione del tutto soggettiva, una specie di tragitto interiore di fronte all'esperienza del dolore. In estrema sintesi, dal rigetto della sofferenza più atroce, alla possibilità di una conciliazione con la sua ineluttabilità, qualora ne fosse tale la manifestazione. Una conciliazione che attinge al potenziale costruttivo, "libidico", presente in ciascuno di noi, per contenere, come un grembo materno, il dolore altrui e quello proprio riflesso, ed infine provare a lenirlo, attraverso gesti simbolici di amore.

    Antonella

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  2. Cara Antonella, dolce e intenso il suo commento. Purtroppo il dolore spesso non ha possibilità di lenimento, con ferocia azzanna quel che resta della vita, per cui, di fronte alla strazio di una umanità annullata nella sofferenza, credo sia un atto di sublime umanità favorire che si compia l'ultimo atto.
    Grazie.

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  3. Riconosco dentro di me il sorgere di un sentimento di inquietudine rispetto a questo tema, quando mi capita l'occasione di riconfrontarmici... .
    Se momentaneamente colgo il senso dell'affermazione conclusiva, e momentaneamente riesco anche a condividerla..., a posteriori si riaffaccia in me un moto di grande tristezza al pensiero di favorire il compimento dell'ultimo atto di una persona... .
    Si aggiunge inoltre in me, l'idea che sia un processo naturale a definire il limite della vita, anzichè un'azione umana... .
    E' un'idea di essere in sintonia con la Natura..., di riconoscimento della nostra provenienza ed appartenenza, e di ricongiungimento ad essa... .
    In tal senso, avverto l'intervento umano un po' come "sopraffacente", (anche nello stesso accanimento terapeutico, del resto) la Natura e lanaturalezza della morte, che invece immagino "portatrice" di propri tempi... .
    Idealmente riesco allora a sentirmi maggiormente "vicina" alla cultura e alle tradizioni di quei popoli che accolgono la morte, attraverso la sua anticipazione, come un evento appartenente al ciclo della vita, e perciò senza "opposizioni", bensì lasciando che "semplicemente" accada... .
    Non ricordo più se sono le tribù degli Indiani d'America, o gli eschimesi, a lasciare i loro "vecchi", in prossimità della morte, in un luogo un po' lontano dai loro villaggi e completamente da soli ad attenderne l'arrivo... .
    Di primo impatto questa tradizione mi era sembrata terribile..., ma la serenità con cui gli anziani stessi, oltre che i loro congiunti, vivevano l'evento, mi aveva "aiutato a comprendere" come alla base di questi usi e costumi vi fosse invece un sentimento di grande rispetto per la vita e le sue manifestazioni, sentimento che consentiva di continuare ad assegnare grande dignità anche alle persone che si accostavano alla morte.

    E' una tematica articolata, quella della morte, che si intreccia alle varie possibilità umane di concepirla e di integrarla mentalmente... .
    Questa mia breve riflessione è assolutamente parziale, incompleta e forse pure assai "inesatta" nel modo in cui l'ho espressa, ma la
    lascio così, dettata dalle emozioni che mi accompagnano e dal desiderio di parlarne ancora con voi, ascoltando vostri pensieri.

    Antonella

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  4. Cara Antonella, grazie per il suo bello e intenso commento. La morte appartiene alla vita, ne è la naturale e inevitabile conclusione, non c'è dubbio che sia così, anche se, comunque sia, l'idea della morte, nostra o dei nostri cari, suscita inevitabilmente un certo doloroso sgomento. La naturalità del morire, l'attesa del compimento naturale senza "forzature" da parte di alcuno è un'idea che regge, ed è assolutamente condivisibile, fino a che non sopraggiunge una "sofferenza" estrema, uno stato di sopraffazione dell'intero psichismo, annientato dal dolore fino a perdere la dimensione umana. Ho sentito persone dalla religiosità assoluta, incapaci nella loro vita di esprimersi se non con parole di estrema delicatezza, bestemmiare con ferocia se straziate dal dolore; ho visto persone implorare pietà e chiedere di porre fine al loro infinito tormento ai loro figli attoniti, anch'essi straziati dall'impotenza e dal dolore. Di fronte a queste situazioni estreme, credo non sia sufficiente non "accanirsi" terapeuticamente, che è già comunque qualcosa, ma ritengo ci voglia l'assunzione, condivisa, di un atto di responsabile pietà, che si faccia carico di porre fine ad una vita che non è più tale, elevando la dignità umana oltre la permanenza dolorosa nella vita terrena. Se un cane è sofferente e non curabile, se un gatto è straziato dal dolore, se un cavallo è azzoppato senza possibilità di ripresa, il senso comune condivide come giusto e liberatorio "sopprimere" chi soffre; cosa impedisce al nostro pensiero di concepire anche per il nostro simile un tale atto di umana pietà?

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  5. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  6. Che bella questa risposta..., nella sua chiarezza e articolazione mi ha aiutata ad avvicinarmi di più con il pensiero alla posizione precedentemente espressa, e a sentirla un po' meno opprimente... .
    Il riferimento alla responsabilità è stato particolarmente illuminante... .
    Questa parola mi ha fatto intuire la sfumatura della massima partecipazione e condivisione al dolore estremo dell'Altro, di fronte al quale per così dire "non ci si può sottrarre, bensì sentire chiamati in causa"... .
    Quanto coraggio, penso, quanta forza interiore mi sembra comunque necessario
    richiamare a sè, per poter assumere una tale decisione, in una condizione di altrettanto forte dolore che immagino presente nei congiunti, e per compiere il corrispondente atto di accompagnamento alla morte.
    Il coraggio di una grandissima benevolenza e un pensiero in grado di librarsi pù in alto.

    Grazie, dunque.
    Antonella

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  7. Mi rendo conto che il tema è delicato ed inquietante e che non è facile poter esprimere il proprio pensiero se non si è dentro la situazione,tuttavia voglio provarci.Se qualcuno non solo è incurabile ma anche oppresso da continue sofferenze,malattie invalidanti,perdita del controllo sulla propria mente e sul proprio corpo, stati comatosi irreversibili,dipendenza da altri, che spesso significa perdita della dignità personale,io credo sia giusto il desiderio di terminare quella "non vita".Per quanto riguarda la mia persona,non ho dubbi in proposito:sono favorevole all'eutanasia.Non nascondo però che spesso mi sorge qualche dubbio nel pensare a come potrei reagire se dovessi prendere decisioni per una persona cara..

    Anna

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    1. Anna, grazie per il tuo contributo. Il tema è delicato e controverso e forse non se ne parla abbastanza. Ognuno di noi dovrebbe interrogarsi sul senso della vita in condizioni estreme, proprie e dei propri cari, per i quali spesso prevale, egoisticamente, il desiderio di tenerli ancora "con sé", anche se stremati dalla sofferenza.

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  8. Nel leggere i diversi commenti mi sono trovata d'accordo con ciascuno di essi, nonostante esprimessero a volte posizioni opposte. Credo che questo significhi la necessità di garantire e favorire la massima libertà all'esercizio di una scelta difficile, a volte già di per sè impossibile, sia per chi la vive in prima persona sia per chi la deve portare a compimento. Invece, purtroppo come in molti altri ambiti privati e strettamente personali, vi sono ingerenze più o meno istituzionali e davvero poco giustificabili, secondo una logica distorta per cui tutto deve essere regolamentato da un'entità super partes e nulla lasciato a quella bellissima qualità che abbiamo la fortuna di possedere: il libero arbitrio. Mi risuonano ancora vibranti le parole del filosofo Umberto Curi a conclusione del seminario che ha tenuto per La Recherche dal titolo "Via di qua. Imparare a morire" rispetto alla necessità di preservare e difendere tale qualità. C'è una domanda però che ancora mi pongo: se oggi compio una scelta per un'eventuale circostanza futura, in quel futuro sarò ancora ferma in tale decisione? Cambiamo ogni giorno, ci trasformiamo, la nostra percezione si modifica, così il nostro pensiero, le nostre esperienze... Ancora una volta, forse, la risposta è insita nella relazione: il libero arbitrio esercitato non individualmente, ma all'interno di una relazione di fiducia, amore e cura...
    Barbara

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    1. Cara Barbara, il riferimento che fai al "libero arbitrio" credo sia quanto mai pertinente.
      Grazie!

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  9. Io penso che non siamo preparati alla morte, non siamo per così dire "educati"
    al concetto di morte se non dal punto di vista scientifico e spirituale.
    Eppure siamo abituati a vedere la morte ogni giorno, ogni notiziario ci parla di morte
    in qualsiasi modo, violenta o serena che sia.
    Si ha poco rispetto per la vita ma anche poco per la morte.
    Subiamo l'ingerenza esterna da parte delle istituzioni su una questione
    così importante come l'eutanasia, ma mi chiedo quanti di noi sono veramente preparati psicologicamente ad affrontare la morte? Perchè esiste in tanti questo radicato ed egoistico senso di appartenenza alla vita?
    Perchè non pensare alla morte come un traguardo, come la fine di ogni sofferenza, come un cerchio che si chiude?
    Ci si ostina a tenere in vita chissà tra quali sofferenze persone che hanno espresso apertamente di voler terminare la propria esistenza senza sofferenza... perchè questo egoismo?

    Sergio

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    1. Sergio, l'idea della morte, per quanto razionalmente accettata, ha per tutti un residuo di inaccettabilità che la rende temuta. In un post di qualche tempo fa si parlava proprio di questo. Riguardo alla "dolce morte", il termine "dolce" è in evidente contrapposizione con lo "strazio doloroso" della sofferenza; quel "dolce" rende l'evento tanto temuto non solo accettabile ma spesso desiderato da chi soffre. Restare sordi a questo grido disperato, in nome di qualsiasi ideologia, di qualsiasi affetto o amore, credo si coniughi tra un malinteso senso di rispetto della vita e, sì, come tu stesso sostieni, un cieco egoismo.

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  10. Nel 1998 è morta mia madre. Era seduta in poltrona e guardava il film su Bernadette. E' andata in fibrillazione e non c'è stato più nulla da fare. Nemmeno di pensare alla morte. Una telefonata, a me lontana, e poi l'ultima dolce carezza ad un corpo freddo e gelato. Al solo ripensarci un nodo mi stringe la gola.
    Tanto dolore..Morire a 70 anni..Ancora due figli da vedere sposati..nipoti..Andarsene da un momento all'altro, all'improvviso..
    A Novembre scorso è morto mio suocero. Mesi di ricovero in ospedale..Di notte urlava il nome dei figli..Allucinazioni alternate a momenti di lucidità..Reparto lungo degenza..
    Accanto a lui Osvaldo, un uomo alimentato con un sondino dal naso..senza più relazioni..Accudito con amore dalla sua donna contenta che il suo uomo fosse ancora "vivo", ma, con lo stesso amore, aspettava la morte per non vederlo più soffrire....Mio suocero intanto veniva sottoposto a dialisi come ultimo tentativo..Uno strazio..E po la fine, a distanza di poco tempo, per tutti e due..
    Tre persone, "tre storie", tre modi di "andarsene".
    Chiedo a tutti, me compresa, come preferireste morire? Una parola che ho sentito ripetersi in molti commenti è egoismo: l'egoismo, in fondo, di chi si accontenta di avere e di stare accanto a una persona malata, sofferente, una larva umana, seppure proiezione di una presenza che non è più. Sono d'accordo col libero arbitrio ma ora un pensiero va al papà della Inglaro , credo ricordiate quella vicenda.
    Un saluto a tutti
    MCF

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  11. Mi fa sempre piacere leggere questo blog e i pensieri di tutte le persone che scrivono.
    Vorrei aggiungere alcune considerazioni, molto in breve... .
    In merito all' "egoismo": non so se si possa definire sempre così.., ossia se si possa attribuire a questo unico sentimento, la difficoltà emotiva che può subentrare nelle persone di fronte al pensiero di accompagnare attivamente verso la morte un proprio congiunto... . Siamo così diversi, nelle nostre motivazioni, nei nostri legami, nelle varie fasi della vita che attraversiamo... .
    In qualche post precedente, esprimevo che forse accostarci all'idea della morte è in relazione ai diversi livelli di possibilità di integrarne mentalmente il pensiero, di elaborarlo, di arricchirlo... . Mi sono domandata come potrebbe essere, per chi assiste i propri congiunti in stato di grande sofferenza, poter codividere con qualcuno esterno alla famiglia, i propri sentimenti dolorosi... . Poter contare sull'appoggio di qualcuno in grado di ascoltare con rispetto e delicatezza la loro stessa sofferenza, i pensieri sulla morte che li attraversa in quel momento... .
    Nel leggere gli stimoli su questo argomento, attraverso i contributi degli altri, mi sono un po' resa conto che dietro il mio sentimento di "oppressione" c'era un'ombra, l'ombra di una forza prepotente...; una rappresentazione che per altro si affaccia in me anche all'idea della soppressione di un animale sofferente, in particolare quando a lui si può essere legati da un affetto.
    Ecco, l'essermi accorta di questa ombra è stato importante..., mi ha consentito di capire che era quella rappresentazione (anche se propbabilmente non solo...) a rendere difficile per me l'idea dell'eutanasia... .
    Eppure, non ne sono affatto contraria. Anzi, ricordocome per il sig. Inglaro provassi molta comprensione verso la sua decisione e al contempo compassione, per il mancato consenso istituzionale.
    Insomma, come cittadina concordo in pieno sul riconoscimento del libero arbitrio rispetto alla scelta della morte. Come persona, credo nell'importanza di continuare ad ascoltare "fuori" e "dentro" di me, per procedere e maturare verso posizioni sempre più libere e rispettose della propria ed altrui sensibilità.

    Antonella

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  12. La sofferenza fisica, per quanto terribile e insopportabile è nulla di fronte alla sofferenza dell'anima, che rimane nascosta agli occhi di tutti e si nutre di silenzio e nostalgia. E' questo il vero dolore che conduce all'annientamento del nostro essere. Vivere ogni attimo di dolore con quanto ne consegue, lasciandolo scorrere in tutta la sua prepotenza è forse l'unica nostra risorsa per tornare a sorridere.


    Susanna

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