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lunedì 14 ottobre 2013

Le radici recise


Nelle ultime settimane le tragedie del mare hanno scosso le coscienze di molti. Centinaia di morti, uomini, donne e bambini, durante il viaggio della disperazione e della speranza. Al di là di ogni considerazione politica ed economica, prevale lo sgomento per una tragedia umana di tali dimensioni. Persone alla deriva, con le radici affettive e culturali recise, in cerca di un luogo dove poter dare nuova dignità alla propria vita. Movimenti di massa da una parte all'altra del mondo fanno parte della storia dell'uomo; noi stessi italiani, in tempi non remoti, recise le radici, abbandonate le vecchie case e i volti dei propri cari, siamo andati altrove a cercare di modificare il nostro destino. Quale sconquasso psichico determina lo strappo delle proprie radici? Quanto intenso è il dolore, anche se mascherato dall'illusoria euforia nutrita dalla speranza, per la perdita di ogni legame con la propria cultura, la propria terra, i propri affetti? E' mai possibile rimarginare la ferita determinata dallo spezzarsi dei legami originari?

Qualche anno fa, mentre davo una rapida occhiata alle email che intasavano la mia casella di posta, sono stato attratto da una di queste che aveva per oggetto, se non ricordo male: "Somos familiares?". Incuriosito dal testo in altra lingua e dalla domanda, di immediata traduzione, ho aperto l'insolito messaggio. La persona che mi scriveva, in un misto della sua lingua e di italiano infarcito di termini dialettali del sud dell'Italia, aveva un nome spagnolo ma portava il mio cognome; di circa cinquant'anni, scriveva per conto di suo nonno quasi centenario. Di origini italiane, suo nonno, per l'età avanzata e per un progressivo deteriorarsi della memoria, non ricordava più il luogo di provenienza dei suoi genitori, arrivati in Argentina verso la fine dell'Ottocento, con la speranza di sfuggire all'atavica povertà  e costruirsi un futuro migliore. Ormai prossimo all'ultimo atto della sua vita, il vecchio immigrato sentiva il desiderio di riannodare il filo della memoria e ricongiungersi, anche solo idealmente, con ciò che restava delle sue radici affettive, in un paese lontano. Le uniche tracce di memoria, sopravvissute al trascorrere impietoso degli anni, narravano del racconto di un lungo e sofferto viaggio per mare, racconto tante volte ascoltato da piccolo dai suoi genitori, due giovanissimi contadini, partiti con mezzi di fortuna dal paesino di origine del sud Italia, con la tristezza nel cuore, tanta fiducia nel futuro e un figlio di pochi mesi al seguito. La persona che mi scriveva non era in grado di darmi dettagli sul luogo di provenienza del nonno e dei suoi bisnonni ma, avendo trovato il mio cognome in rete, aveva pensato che potessi essere un lontano parente, con le loro stesse radici e in grado di colmare il vuoto di appartenenza che angosciava il suo vecchio congiunto. Gli elementi per individuare legami tra noi anche remoti erano minimi, per cui, nonostante avessi consultato alcuni miei anziani parenti, non fui in grado di soddisfare la richiesta di quella persona. Dopo aver risposto alla email, con un certo rammarico per la delusione che ero certo avrebbero provato i miei sconosciuti interlocutori, qualche tempo dopo trovai tra la posta un secondo messaggio, con il quale mi si ringraziava per non aver ignorato la prima accorata richiesta; la mia email, per quanto fonte di delusione, in quanto non riannodava i fili di legami ormai spezzati per sempre, per il vecchio nonno era stata anche fonte di grande gioia e di ritrovata serenità. Poco prima dell'ultimo viaggio, il vecchio emigrato aveva saputo che al di là del mare, nel lontano paese da cui erano partiti più di un secolo prima i suoi genitori, viveva qualcuno che portava il suo cognome, legame minimo ma fondante il suo ritrovato senso di appartenenza ad una radice comune.

5 commenti:

  1. Questo articolo è bellissimo, le parole semplici e spontanee avvicinano noi tutti alla condivisione dei traumi sofferti e non può che lasciarci partecipare empaticamente agli ultimi fatti accaduti nel nostro Paese. La parola brasiliana "saudade" in questo caso è molto appropriata, il dolore del ritorno. Ma, come a volte accade, in ogni dolore si riesce sempre a trovare una via d'uscita e un raggio di luce. Basta "ascoltare". Complimenti vivissimi e grazie di aver pubblicato questo articolo.

    Susanna Polimanti

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    1. Grazie a te, Susanna, per il contributo. In molti di coloro che perdono le proprie radici, il vissuto nostalgico, l'inappagato desiderio di un ritorno, fa da sfondo ad una esistenza intera. Di certo, per la straordinaria attitudine umana ad adattarsi ad ogni circostanza, la vita riprende anche con le radici recise, ma forse quel legame originario spezzato, quel vuoto mai del tutto colmato, darà segno di sé per una vita intera.

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  2. Mentre leggevo, mi sono ricordata di un particolare viaggio fatto da me anni fa in Grecia.
    Quella volta capitò di fare tappa nell’isola che nell’immaginario di chi ha fatto gli studi classici, e non solo, ha avuto sempre un grande fascino: Itaca.
    Già si delineava, ingrandendosi, il suo profilo emergente da un mare azzurro intenso, quando all’improvviso e quasi ad un segno di comando di un ipotetico direttore d’orchestra, scese un silenzio irreale. Gli occhi di tutti i naviganti, capelli al vento, statue viventi, ognuno immerso nei propri pensieri, erano puntati verso di lei. Non una voce, eppure si poteva percepire la coralità di vivere la stessa emozione: novelli Ulisse “tornavamo” con lui finalmente ad Itaca, a casa! Lui unico! Perché ai compagni fu negato il ritorno.
    Da un mese circa una mia alunna si è recata, per la prima volta, in Perù con i suoi, a conoscere nonni, parenti e paese natio dei genitori. Prima di partire era eccitatissima e non vedeva l’ora di abbracciarli. Voleva riannodare i legami con le proprie radici, le proprie origini, di tenere i contatti col passato per dare senso al presente.
    E’ difficile ora guardare le immagini così drammatiche e crude di Quei “pellegrini” del mare senza pensare al loro passato anche interiore, ma di più al loro futuro che per molti, troppi, si è già concluso in una bara.
    La cosa che mi sgomenta maggiormente è che ormai non se ne parla più. Tutto fa notizia e una nuova travolge e pare ”risolvere” quella vecchia. Che tristezza!
    Una speranza? Che almeno in tanti ce la facciano a ricominciare..L’uomo è pieno di risorse..e, dopo un po’ di anni, possano tornare nel loro paese, come una volta tornavano i nostri vari-migranti tra le invidie di chi non aveva avuto tanto coraggio ed era rimasto immobile a subire la realtà quotidiana. O forse ci vuole più forza a restare? Certo è che se mi si chiedesse di tornare al paese, oggi non lo farei. Oggi le mie radici sono qui dove sono nati i miei figli.
    MCF

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  3. Grazie per il contributo, MFC. Bello il tuo ricordo del viaggio a Itaca; Itaca, la terra della nostalgia di Ulisse, certamente in tema con il contenuto del post. E' vero quello che dici, superato lo sgomento suscitato dalle prime terribili immagini diffuse dalla tv, su questa tragedie umane è tornato il silenzio.

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  4. Qualche giorno fa la mia alunna è tornata dal Perù. Mi ha portato un ricordino per regalo. L'ho abbracciata forte e mi ha commosso il pensiero che stando tanto lontano abbia pensato proprio a me. MCF..

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