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venerdì 23 novembre 2012

La lettera



Qualche giorno fa, in un vecchio cassetto, ho ritrovato una lettera ingiallita dagli anni. Il bollo postale, ancora perfettamente leggibile, indica la data: 23 Aprile, 1940. La busta, intatta nonostante siano trascorsi 82 anni, contiene un foglio profumato di colore rosa e…dolcissimo allegato…due foglioline unite tra loro da un filo rosso. Questa lettera, scritta da mia madre poco più che bambina a una sua cugina lontana, ha resistito al trascorrere del tempo, ai traslochi e alle scomparse delle due piccole corrispondenti. Che testimonianza straordinaria di trasporto infantile e di antiche abitudine in disuso.
Sono molti anni che non scrivo una lettera e tanti anni che non ne ricevo. Che dolce, e a volte struggente, era un tempo l’attesa di una lettera da parte di una persona cara. E che gioia intensa trovarla nella cassetta dopo giorni e giorni di aspettativa delusa. Le lettere scritte da ragazzo a un amico, alla mia famiglia, a un tenero amore lontano, vorrei poterle rivedere, sentirne la dolce consistenza, rileggerle e raccoglierle in uno scrigno da conservare gelosamente in un cassetto. Così come vorrei poter riavere tutte per me le lettere ricevute negli anni; leggerle e rileggerle più volte prima di riporle nello scrigno segreto, riservando il posto d’onore all’ultima lettera che ha riscaldato il mio cuore. 

giovedì 15 novembre 2012

Un pensiero...impensabile..


Questa mattina un articolo di cronaca locale informava che il Sig. X…aveva trovato la morte in un incidente.
“Trovato” la morte. Che singolare modo di dire, peraltro non così insolito. Un uomo quindi può “trovare “ la sua morte. Il vecchio proverbio che dice, cito a memoria, “si trova ciò che si cerca”, in questo caso suonerebbe beffardo e assurdo. 
Mortalis Moriturus…
Sappiamo fin da piccoli di dover morire. Il galleggiare senza vita del pesciolino rosso, oppure l’immobilità marmoreo della nonna nel suo completo nero, sono le prime esperienze da “osservatore” della morte altrui. Sperimentiamo il dolore, la lacerazione della perdita; poi, la ragione, gli artifici del pensiero logico, ci vengono in soccorso e ci si adegua. “La morte fa parte della vita”; “la vita continua”; “ha fatto una bella morte” (ma la morte in sé può davvero mai essere bella?) sono modi di dire funzionali a venire a patti con l’ineluttabilità dell’ultimo atto.  Poi, in tempi più o meno brevi, per il solo fatto di esserne solo testimoni, ci si adegua al dolore e allo “scandalo” della morte altrui; in fondo, sentiamo che ci basta essere vivi. Di certo non ci mancano i mezzi, per quanto dolore possa provocare, per soffocare lo scandalo insito nell’assurdità della morte. 
Il vero scandalo, doloroso e assurdo per il nostro pensiero, risiede nella nostra morte; un evento che sentiamo disumano e che non ci è possibile soffocare. Non perché riteniamo che la nostra vita valga di più della vita di altri, ma perché è impossibile per il nostro pensiero…pensarci morti; è questo un pensiero che risuona assurdo ed estraneo, ingiusto e crudele, al di fuori delle nostre possibilità di pensarlo.

mercoledì 7 novembre 2012

La fede perduta


Nell'ultimo libro di Eugenio Borgna, "Di armonia risuona e di follia", ci sono delle pagine bellissime sul tormento di Santa Teresa per il vacillare angoscioso della fede. Lo strazio dell'anima nel sentire il vuoto di fede e la ricerca spasmodica per trovare nuovi appigli nella preghiera, suscitano nel lettore emozioni intense e quasi sconcerto per questa testimonianza di lacerante disperazione.
Molti anni fa, ho assistito di persona ad un tormento analogo in un sacerdote che da mesi era lacerato dal vissuto di indegnità circa il suo ruolo di "servo di Dio" e da un progressivo affievolirsi di quella che fino a poco prima considerava una "fede incrollabile". Il circolo vizioso in cui si dibatteva quest'anima dolente era disegnato dal crescente vissuto di inadeguatezza al proprio ruolo, un senso di colpa cupo che ne spegneva ogni spinta vitale e la considerazione amara e straziante che le sue preghiere accorate non ricevevano le risposte sperate, alimentando così il vissuto di indegnità e lo spegnersi progressivo della fede. Che pena quello sguardo smarrito alla ricerca della luce che fino ad allora, per quasi quarant'anni, lo aveva guidato nelle sue scelte. Il Dio cui aveva dedicato intera la vita gli voltava le spalle, condannandolo all'indegnità, oppure...mancava di bontà nel consentire la sua perdizione...oppure ancora, -che strazio quest'ultima ipotesi indicibile- non era un Dio Onnipotente come sempre aveva creduto; forse un inganno. Lentamente il Sacerdote riuscì a superare la sua crisi esistenziale e la fede ricomparve, prima con un tenue chiarore fino a splendere di nuovo luminosa. Don M. ha ripreso da tempo la sua vita di religioso purissimo e forse del suo tormento non è rimasta alcuna traccia; ma quanta angoscia disperante in quello sguardo! Mai ho incontrato, né prima né dopo di lui, tanta disperazione.

giovedì 1 novembre 2012

Come in uno specchio





La lettura dei “Saggi” di Montaigne è un’esperienza straordinaria. 
Virginia Woolf paragonava i lettori di Montaigne ai visitatori di una galleria di quadri. Una alla volta, le persone si fermano di fronte al dipinto e si chinano per osservare tra i riflessi del vetro. “C’è sempre una folla davanti al quadro, a scrutare  dentro le sue profondità, a vedervi riflessi i propri volti; e più questa folla guarda, più vede; né mai è in grado di dire cosa vede con precisione.” Il volto di chi osserva e quello del dipinto si confondono e diventano tutt’uno. 
Nelle interazioni umane accade qualcosa di simile. In ogni incontro con gli altri ci guardiamo in uno specchio; leggendo Montaigne vediamo a tratti sfumato, a volte con chiarezza, il nostro riflesso.
Montaigne con i suoi Saggi, con il suo continuo interrogarsi, scandagliando nel dettaglio il “suo” modo di vivere”, di esperire la vita in ogni sfumatura, entra in risonanza con ogni lettore, il quale sente che quei pensieri in parte gli appartengono, in una dimensione di straordinaria familiarità. André Gide diceva di aver fatto "proprie" così tante cose di Montaigne da riconoscere in questi se stesso. La stessa incredibile sensazione credo possa sperimentarla qualsiasi lettore dei Saggi, opera scritta non per trasmettere insegnamenti di vita ma per coinvolgere il lettore in un “flusso di coscienza” di straordinaria purezza.