Banner created with MyBannerMaker.com

giovedì 15 novembre 2012

Un pensiero...impensabile..


Questa mattina un articolo di cronaca locale informava che il Sig. X…aveva trovato la morte in un incidente.
“Trovato” la morte. Che singolare modo di dire, peraltro non così insolito. Un uomo quindi può “trovare “ la sua morte. Il vecchio proverbio che dice, cito a memoria, “si trova ciò che si cerca”, in questo caso suonerebbe beffardo e assurdo. 
Mortalis Moriturus…
Sappiamo fin da piccoli di dover morire. Il galleggiare senza vita del pesciolino rosso, oppure l’immobilità marmoreo della nonna nel suo completo nero, sono le prime esperienze da “osservatore” della morte altrui. Sperimentiamo il dolore, la lacerazione della perdita; poi, la ragione, gli artifici del pensiero logico, ci vengono in soccorso e ci si adegua. “La morte fa parte della vita”; “la vita continua”; “ha fatto una bella morte” (ma la morte in sé può davvero mai essere bella?) sono modi di dire funzionali a venire a patti con l’ineluttabilità dell’ultimo atto.  Poi, in tempi più o meno brevi, per il solo fatto di esserne solo testimoni, ci si adegua al dolore e allo “scandalo” della morte altrui; in fondo, sentiamo che ci basta essere vivi. Di certo non ci mancano i mezzi, per quanto dolore possa provocare, per soffocare lo scandalo insito nell’assurdità della morte. 
Il vero scandalo, doloroso e assurdo per il nostro pensiero, risiede nella nostra morte; un evento che sentiamo disumano e che non ci è possibile soffocare. Non perché riteniamo che la nostra vita valga di più della vita di altri, ma perché è impossibile per il nostro pensiero…pensarci morti; è questo un pensiero che risuona assurdo ed estraneo, ingiusto e crudele, al di fuori delle nostre possibilità di pensarlo.

14 commenti:

  1. Il tema della morte è sempre molto delicato e angosciante. Ricordo che da adolescente immaginavo come poteva essere "partecipare" al mio funerale, un pò come nei film dove l'anima osserva e interpreta dall'alto ciò che accade. Credo fosse un modo per immaginare come avrebbero reagito familiari, amici e conoscenti, forse per rincuorarmi del fatto che la mia esistenza fosse importante per qualcuno.
    Riflettendo mi rendo conto che si, ci si abitua a convivere con la morte, si sopravvive al dolore che si prova dalla perdita delle persone care ma probabilmente è soltanto un meccanismo che ci aiuta e ci impedisce di ragionare sul vero senso dell'evento in sè.
    Due anni fa ho iniziato a lavorare anche presso una casa di riposo, lì la morte è un tema ricorrente, l'obiettivo principale è quello di accompagnare gli ospiti negli ultimi anni della loro vita cercando di donare serenità e conforto per quanto possibile.
    I primi mesi sono stati devastanti, ci sono stati talmente tanti decessi che non riuscivo a stare al passo, volevo andarmene. Poi, anche in questo caso con il tempo mi sono abituata, ho imparato a prendere le giuste distanze con il tema e con gli ospiti. Tra le altre cose sto imparando a controllare la rabbia che spesso si manifesta quando la morte decide di prendersi le persone che tutto sommato stanno ancora piuttosto bene, al posto di altre che vegetano da anni. (Anche per questo aspetto si potrebbero aprire lunghi ragionamenti...)
    Forse è proprio questo "il trucco"; la morte è l'unica certezza che abbiamo ma finchè non ci tocca direttamente, finchè non si avvicina il nostro momento, siamo portati a guardarla da lontano, a prenderne le distanze perchè altrimenti il solo pensiero reale e concreto della nostra fine non ci lascerebbe vivere.

    RispondiElimina
  2. Grazie, Sara, per il tuo contributo. La morte "siamo portati a guardarla da lontano"; certo, credo sia la nostra unica difesa. Se ci si pensa, dicendo che la guardiamo da lontano, implicitamente si afferma che ci è sempre abbastanza vicina da poterla vedere. Insomma, fa parte nostro malgrado della stessa vita.

    RispondiElimina
  3. Il pensiero della morte mi deprime

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie. Il pensiero della morte deprime inevitabilmente, nonostante la ragione cerchi di renderlo accettabile e...pensabile.

      Elimina
  4. Il pensiero della nostra morte si modifica con l'età, così come il rapporto che con essa abbiamo e le emozioni che ci suscita. Mi sembra di poter fare un parallelo tra lo sviluppo di questo pensiero con lo sviluppo psicologico dell'essere umano. Quando si è bambini si scopre che la morte esiste (ricordo a tal proposito un bellissimo libro, in forma diaristica, di Renzo Vianello "La comprensione della morte nel bambino") ma essa è totalmente distante da Sè e c'è solo la curiosità di comprendere il diverso stato, l'inanimato, la mosca che caduta sul davanzale non sbatte più le ali... Nella prima fase evolutiva il bambino compie costantemente funzioni di osservazione, apprendimento, acquisizione, è nella nostra natura.
    Come dice bene Sara, in adolescenza la morte è un pensiero molto più presente, è la fase della sfida, dell'onnipotenza, in cui affacciandosi alla vita adulta si mettono alla prova i propri limiti, anche immaginando quali emozioni, quali reazioni, la propria morte susciterebbe nell'altro. E' il momento in cui si può pensare alla propria morte. Quindi si passa alla fase di latenza, la vita adulta, in cui è necessario vivere, produrre, essere nel/al mondo, così come il bambino che dai 5-6 anni entra in latenza ed è tutto volto agli aspetti più cognitivi del proprio compito evolutivo. Arriviamo, infine, all'età della vecchiaia, quando ci si avvicina a questa biologica scadenza in cui il pensiero della propria morte diventa funzionale a prepararci per questo ineluttabile incontro.

    RispondiElimina
  5. Grazie per il post ricco e articolato. Certamente ci prepariamo alla morte per tappe successive, arrivando in tarda etá pronti, forse, ad affrontare l'ineluttabilità dell'evento. Credo comunque che, nonostante questo, il pensiero della "nostra" morte resti quasi impossibile da formulare, sulle soglia dell'impensabile.

    RispondiElimina
  6. Forse ciò che a volte può un po' alleviare certi pensieri è l'ironia. A proposito della propria morte Woody Allen è maestro di ironia (consiglio su tutti “Amore e Guerra”, strepitoso). Queste le mie citazioni preferite:

    “Non è che ho paura di morire. È che non vorrei essere lì quando questo succede”.

    E...

    “Il segreto credo che sia non pensare che la morte è la fine, ma pensarla piuttosto come un modo molto efficace di ridurre le vostre spese”.

    RispondiElimina
  7. Di certo l'ironia, uno degli artifici della ragione, è un buon antitodo all'idea angosciosa della propria morte, forse il più efficace, e W. Allen è un autentico genio nell'utilizzo di questa risorsa. ;o)

    RispondiElimina
  8. Grazie Barbara per il consiglio, lo aggiungerò alla lista dei film da vedere! :-) E grazie per gli altri commenti, sono davvero spunti preziosi per riflettere e ampliare le proprie conoscenze!! Continuando nell'approfondimento del tema, credo che per certi aspetti potrebbe anche essere positivo pensare alla proprio morte. Seguendo anche il ragionamento di Barbara, mi rendo conto che spesso "sprechiamo" il nostro tempo, siamo così presi da una vita frenetica dai mille impegni e siamo così portati per natura e cultura ad essere proiettati al futuro che non ci rendiamo conto che ogni attimo e' prezioso e potrebbe essere l'ultimo. Forse portando più attenzione a questa prospettiva ogni scelta quotidiana, ogni singola azione acquisterebbe un valore. Sara' banale, ma credo davvero che con questo spirito la qualità del nostro tempo e delle relazioni che instauriamo con gli altri sarebbe migliore.

    RispondiElimina
  9. Grazie Sara per il tuo commento. E' vero..."ogni attimo è prezioso e potrebbe essere l'ultimo". Il "carpe diem" Oraziano, "l'ultima sigaretta di Zeno", "l'ultimo bacio" esaltato da Besame mucho, sono tutti esempi di quello che dici e che personalmente condivido. ;o) Anche in questo caso ci facciamo aiutare da un pensiero razionale che si aggrappa alla vita, ed è bene che sia così, per tenere il più lontano possibile da sé...l'idea della propria morte.

    RispondiElimina
  10. Da sempre l'umanità ha cercato di "definire" la morte con espressioni più o meno calzanti; ma può la morte davvero avere una qualche definizione? O semplicemente è il fatto terminale dell'angoscia dell'esistenza consapevole dell'ivevitabilità di essa? Allontanarne l'idea è il compito della vita. E allora tutto può essere utile; gli esorcismi devono essere quotidiani, compresa l'ironia. E' "moderno" definirla così: la morte, un modo di essere "diversamente vivi"?
    pasmat

    RispondiElimina
  11. Caro Pasmat, mi piace questa tua idea che "compito della vita" è allontanare l'idea della morte. ;o)

    RispondiElimina
  12. io sento la morte come l'interruzione (e, a volte credo,la trasformazione) della relazione tra due persone, intesa come di-alogo, parlarsi e rispondersi, bi-direzionale ed il suo proseguimento come relazione interiore, in cui quell'incontro avviene interiormente, in forma ora circolare

    RispondiElimina
  13. ....in questi giorni ho visto morire una persona cara. Non voleva morire!troppe le cose lasciate incompiute..troppe le persone ancora da amare e da vedere crescere. Tante le modifiche, gli aggiustamenti da fare..Un'altra barca, un'altra casa..dava consigli..nelle sue elucubrazioni disegnsva nel vuoto come a tessere una tela, un arazzo..e parlava..parlava di giorno, di notte..e ancora pareti e ancora acqua e ancora motori da azionare.Era la sua "agonia", la sua ultima "lotta". Poi ad un tratto il silenzio! Ed il freddo..tanto freddo MCF

    RispondiElimina

I commenti sono tutti sottoposti a verifica. Non saranno pubblicati i commenti offensivi, osceni o comunque non rispondenti alle comuni norme di buona educazione. Tutti i commenti vanno firmati; non saranno pubblicati commenti anonimi.