Il 2012 tra poche ore entrerà a far parte del passato...e sarà
2013. Per il nuovo anno un augurio
affettuoso a tutti ma in particolare alle donne, tutte le donne, di ogni età.
Che non ci siano più donne derise, maltrattate, umiliate. Che la violenza,
espressione umana aliena alla loro natura e alla loro sensibilità, non le
offenda o ferisca nel corpo e nell’anima. Che non ci siano più donne picchiate,
uccise per aver rivendicato il diritto alla libertà di pensiero e di azione;
che ognuna di loro possa sempre determinare il corso della propria vita. Che la
ricchezza del loro pensiero e la straordinaria gamma dei loro sentimenti possano
essere valorizzati, nel pubblico e nel privato, in un mondo ancora troppo determinato
dal pensiero maschile. Che possano portare il loro imprescindibile, prezioso
contributo per creare un mondo migliore, un mondo in cui il rispetto, la
tenerezza, la lungimiranza, l’amore e la pace possano finalmente avere un’espressione
viva e duratura.
lunedì 31 dicembre 2012
Le donne...per un mondo migliore.
sabato 15 dicembre 2012
Il primo libro
Chiedere
“qual è l’ultimo libro che hai letto” è una domanda consueta. Spesso viene
utilizzata per avere uno spunto di dialogo, oppure semplicemente per informarsi
sugli interessi dell’altro, sul suo livello culturale o semplicemente se ama
leggere. Nel momento in cui lo si chiede si esprime implicitamente che si
considera importante la lettura, che si legge abitualmente e che si da per
scontato che anche l’interlocutore lo faccia.
Coloro
che in questo momento leggono questo breve scritto stanno idealmente
rispondendo a questa domanda, magari ammettendo a se stessi che da un po’ di
tempo, non leggono altro che il giornale.
Meno
consueto è invece chiedere, e cercare di recuperare tra i ricordi, la prima
lettura: il primo libro. Naturalmente non mi riferisco ai libri di scuola, ma
alla prima, vera lettura spontanea. Il libro che per primo ha aperto la nostra
mente, trasportandoci in dimensioni nuove. Io lo ricordo bene. Aveva una
bellissima copertina morbida con immagini colorate e la storia che raccontava ha
accompagnato la mia vita da bambino per alcuni anni. Lo leggevo e rileggevo più
volte, tanto da essere in grado di recitarne interi passi a memoria. “C’era una
volta…”, era il suo incipit, simile a tanti libri d’infanzia.
Andate
indietro negli anni, dimenticate l’età attuale e tornate per un attimo bambini.
Riprendete in quell’angolo nascosto del vostro tempo il “primo libro”. Riuscite
a leggerne il titolo? A ricordarne le prime righe, la storia?
venerdì 23 novembre 2012
La lettera


Qualche giorno fa, in un vecchio
cassetto, ho ritrovato una lettera ingiallita dagli anni. Il bollo postale,
ancora perfettamente leggibile, indica la data: 23 Aprile, 1940. La busta,
intatta nonostante siano trascorsi 82 anni, contiene un foglio profumato di
colore rosa e…dolcissimo allegato…due foglioline unite tra loro da un filo
rosso. Questa lettera, scritta da mia madre poco più che bambina a una sua
cugina lontana, ha resistito al trascorrere del tempo, ai traslochi e alle
scomparse delle due piccole corrispondenti. Che testimonianza straordinaria di
trasporto infantile e di antiche abitudine in disuso.
Sono molti anni che non scrivo una
lettera e tanti anni che non ne ricevo. Che dolce, e a volte struggente, era un tempo
l’attesa di una lettera da parte di una persona cara. E che gioia intensa
trovarla nella cassetta dopo giorni e giorni di aspettativa delusa. Le lettere
scritte da ragazzo a un amico, alla mia famiglia, a un tenero amore lontano,
vorrei poterle rivedere, sentirne la dolce consistenza, rileggerle e
raccoglierle in uno scrigno da conservare gelosamente in un cassetto.
Così come vorrei poter riavere tutte per me le lettere ricevute negli anni;
leggerle e rileggerle più volte prima di riporle nello scrigno segreto,
riservando il posto d’onore all’ultima lettera che ha riscaldato il mio cuore.
giovedì 15 novembre 2012
Un pensiero...impensabile..
Questa mattina un articolo di cronaca locale informava che
il Sig. X…aveva trovato la morte in un incidente.
“Trovato” la morte. Che singolare modo di dire, peraltro non
così insolito. Un uomo quindi può “trovare “ la sua morte. Il vecchio proverbio
che dice, cito a memoria, “si trova ciò che si cerca”, in questo caso
suonerebbe beffardo e assurdo.
Mortalis Moriturus…
Sappiamo fin da piccoli di dover morire. Il galleggiare
senza vita del pesciolino rosso, oppure l’immobilità marmoreo della nonna nel
suo completo nero, sono le prime esperienze da “osservatore” della morte
altrui. Sperimentiamo il dolore, la lacerazione della perdita; poi, la ragione,
gli artifici del pensiero logico, ci vengono in soccorso e ci si adegua. “La
morte fa parte della vita”; “la vita continua”; “ha fatto una bella morte” (ma
la morte in sé può davvero mai essere bella?) sono modi di dire funzionali a
venire a patti con l’ineluttabilità dell’ultimo atto. Poi, in tempi più o meno brevi, per il solo
fatto di esserne solo testimoni, ci si adegua al dolore e allo “scandalo” della
morte altrui; in fondo, sentiamo che ci basta essere vivi. Di certo non ci
mancano i mezzi, per quanto dolore possa provocare, per soffocare lo scandalo
insito nell’assurdità della morte.
Il vero scandalo, doloroso e assurdo per il
nostro pensiero, risiede nella nostra morte; un evento che sentiamo disumano e
che non ci è possibile soffocare. Non perché riteniamo che la nostra vita valga di più della
vita di altri, ma perché è impossibile per il nostro pensiero…pensarci morti; è questo un pensiero che risuona assurdo ed estraneo, ingiusto e crudele, al di fuori delle nostre
possibilità di pensarlo.
mercoledì 7 novembre 2012
La fede perduta
Nell'ultimo libro di Eugenio Borgna, "Di armonia risuona e di follia", ci sono delle pagine bellissime sul tormento di Santa Teresa per il vacillare angoscioso della fede. Lo strazio dell'anima nel sentire il vuoto di fede e la ricerca spasmodica per trovare nuovi appigli nella preghiera, suscitano nel lettore emozioni intense e quasi sconcerto per questa testimonianza di lacerante disperazione.
Molti anni fa, ho assistito di persona ad un tormento analogo in un sacerdote che da mesi era lacerato dal vissuto di indegnità circa il suo ruolo di "servo di Dio" e da un progressivo affievolirsi di quella che fino a poco prima considerava una "fede incrollabile". Il circolo vizioso in cui si dibatteva quest'anima dolente era disegnato dal crescente vissuto di inadeguatezza al proprio ruolo, un senso di colpa cupo che ne spegneva ogni spinta vitale e la considerazione amara e straziante che le sue preghiere accorate non ricevevano le risposte sperate, alimentando così il vissuto di indegnità e lo spegnersi progressivo della fede. Che pena quello sguardo smarrito alla ricerca della luce che fino ad allora, per quasi quarant'anni, lo aveva guidato nelle sue scelte. Il Dio cui aveva dedicato intera la vita gli voltava le spalle, condannandolo all'indegnità, oppure...mancava di bontà nel consentire la sua perdizione...oppure ancora, -che strazio quest'ultima ipotesi indicibile- non era un Dio Onnipotente come sempre aveva creduto; forse un inganno. Lentamente il Sacerdote riuscì a superare la sua crisi esistenziale e la fede ricomparve, prima con un tenue chiarore fino a splendere di nuovo luminosa. Don M. ha ripreso da tempo la sua vita di religioso purissimo e forse del suo tormento non è rimasta alcuna traccia; ma quanta angoscia disperante in quello sguardo! Mai ho incontrato, né prima né dopo di lui, tanta disperazione.
giovedì 1 novembre 2012
Come in uno specchio
La
lettura dei “Saggi” di Montaigne è un’esperienza straordinaria.
Virginia Woolf paragonava i lettori di Montaigne ai visitatori di una galleria di quadri. Una
alla volta, le persone si fermano di fronte al dipinto e si chinano per
osservare tra i riflessi del vetro. “C’è sempre una folla davanti al quadro, a
scrutare dentro le sue profondità, a
vedervi riflessi i propri volti; e più questa folla guarda, più vede; né mai è
in grado di dire cosa vede con precisione.” Il volto di chi osserva e quello
del dipinto si confondono e diventano tutt’uno.
Nelle interazioni umane accade
qualcosa di simile. In ogni incontro con gli altri ci guardiamo in uno
specchio; leggendo Montaigne vediamo a tratti sfumato, a volte con chiarezza, il nostro riflesso.
Montaigne
con i suoi Saggi, con il suo continuo interrogarsi, scandagliando nel dettaglio
il “suo” modo di vivere”, di esperire la vita in ogni sfumatura, entra in
risonanza con ogni lettore, il quale sente che quei pensieri in
parte gli appartengono, in una dimensione di straordinaria familiarità. André Gide diceva di aver fatto "proprie" così tante cose di Montaigne da riconoscere
in questi se stesso. La stessa incredibile sensazione credo possa sperimentarla
qualsiasi lettore dei Saggi, opera scritta non per trasmettere insegnamenti di
vita ma per coinvolgere il lettore in un “flusso di coscienza” di straordinaria
purezza.
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